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Il Parlamento ci ripensa sulla modifica del 5×1000: soddisfatti di questa scelta, il MoVI ribadisce la necessità di un cambio di rotta che incrementi il sostegno al volontariato

In seguito alle proteste di numerose realtà impegnate in attività assistenziali e di volontariato, è fallita la proposta di Gianfranco Rufa, senatore della Lega, di estendere i fondi del 5x1000 al sostegno del personale in servizio delle Forze dell’ordine. Il MoVI esprime la propria soddisfazione riguardo alle modifiche proposte al ddl, che altrimenti avrebbe creato confusione e svuotato l’istituto del 5x1000 della sua funzione sociale: sostenere le realtà territoriali che ogni giorno si impegnano per la tutela e per lo sviluppo dei beni comuni e per la difesa dei diritti umani. «Comprendiamo l’importanza del lavoro delle forze dell’ordine sul territorio – afferma il Presidente del MoVI Gianluca Cantisani – ma ricordiamo che i fondi del 5x1000 hanno una finalità totalmente diversa, che non può e non deve essere stravolta. Ci auguriamo che le modifiche introdotte al ddl Rufa siano il primo passo di un percorso volto a condividere con le forze politiche una riflessione su come supportare le attività di volontariato incrementando il sostegno e alleggerendo gli adempimenti burocratici, in un momento già di per sé molto complicato come quello che stiamo vivendo. In particolare, è necessario sostenere le piccole realtà, disseminate in tutto il territorio nazionale, che svolgono una funzione preziosa e fondamentale per la tenuta del nostro sistema.»

CONFERENZA NAZIONALE 2022 – Intervista a Marianella Sclavi

Il volontariato è la voce del popolo

A pochi giorni della conferenza nazionale di Frascati abbiamo discusso con Marianella Sclavi (fondatrice di Ascolto Attivo e del MEAN – Movimento Europeo di Azione Nonviolenta) sul concetto di nonviolenza e sulle iniziative che il volontariato può mettere in campo oggi per far fronte ai conflitti internazionali che, con la guerra in Ucraina, stanno riemergendo in tutta la loro evidenza.
  Dottoressa Sclavi, la guerra in Ucraina ha fatto emergere nuovamente l’esigenza di una risposta nonviolenta da parte della comunità internazionale. Cosa vuol dire, oggi, il concetto di nonviolenza e cosa può fare l’Occidente per intenderlo in un’accezione attiva, e non come una reazione passiva a ciò che sta accadendo?
La guerra in Ucraina mette in luce l’assenza, in Europa, di corpi civili di pace: un’organizzazione di professionisti e volontari, capace di intervenire nei luoghi di guerra e trasformare il conflitto in punto di ripartenza per progettare il futuro, in un’occasione per costruire comunità. Se dopo la caduta del muro di Berlino l’Europa avesse capito l’importanza di dotarsi di un proprio esercito, difensivo e di pace, forse si sarebbe evitato il disastro attuale. I corpi civili di pace rappresentano il modo con cui uno Stato e i suoi cittadini possono reagire all’emergere di situazioni di tensione politica nei territori; è una forma di applicazione pratica del principio di nonviolenza intesa come azione di “violenza pacifica”, ovvero come un’azione attiva di lotta alla violenza e alle ingiustizie. Invece di discutere di questioni geopolitiche sull’Ucraina, come facciamo oggi, bisognerebbe risalire alle radici della questione, alle cause originarie del conflitto, e assumerci le nostre responsabilità in qualità di cittadini europei. È fondamentale per intervenire in modo costruttivo nel conflitto. Trasformare il conflitto russo-ucraino in occasione per progettare il futuro significa proprio questo: creare una comunità di cittadini europei, sull’esempio degli “Stati Uniti d’Europa” di cui si parla da tempo, con un modello di convivenza tra i popoli condiviso e che sia in grado di far fronte alle questioni dei tempi moderni, di un mondo estremamente globalizzato e che tuttavia rischia di farci ritornare alle divisioni tra i blocchi tipiche della Guerra Fredda. Invece dobbiamo agire per essere i costruttori di pace nel mondo, a tutti i livelli: individuale, dei corpi intermedi e istituzionale. Quale è l’apporto che il MoVI e il mondo del volontariato può dare in questo contesto? I volontari possono fare molto, dall’accoglienza di profughi all’invio di aiuti umanitari. Serve, però, un’organizzazione di coordinamento che metta insieme questi sforzi individuali, in modo tale che essi rispondano alle esigenze concrete della popolazione locale. L’esperienza che ho avuto con i civili ucraini impegnati nella resistenza mi ha fatto capire che non sempre gli aiuti che inviamo loro corrispondono a ciò di cui hanno effettivamente bisogno. Ecco perché queste azioni hanno bisogno del coordinamento e di un’organizzazione che si metta in contatto diretto con i comuni ucraini per intercettare le loro esigenze. C’è poi l’azione politica, in cui il mondo del volontariato può e deve proporre un’alternativa alle solite discussioni tra colpevoli e vittime, ovvero quella di un’Europa autonoma e compatta al suo interno, che grazie ai corpi civili di pace rappresenti il superamento della NATO e delle contrapposizioni tipiche della guerra fredda. Aggiungo che, anche in questo caso, i gruppi civili di pace vanno educati e formati perché, come ogni movimento di lotta collettiva, la loro azione non può essere affidata al caso e alle iniziative dei singoli. Secondo lei il mondo del volontariato può essere determinante nel raggiungimento di obiettivi così ambiziosi come quelli che lei ha proposto? Secondo me sì, può essere determinante perché il volontariato è la voce del popolo, perché essendo un’opera capillare sui territori e che parte dalla società civile, è un’iniziativa che le istituzioni non sono in grado di mettere in campo ma di cui hanno bisogno. Anche politicamente, il coraggio di avere una visione più ambiziosa del ruolo dell’Europa mi pare che possa venire solo dalla società civile, di cui il volontariato è protagonista. Però deve essere una visione condivisa, che abbia una rappresentanza nazionale e che faccia sentire il proprio peso nelle sedi istituzionali. Bisogna far capire ai nostri rappresentanti politici che i tempi sono cambiati e che le vecchie contrapposizioni ideologiche maturate nel secolo scorso non fanno più parte di questo mondo.

CONFERENZA NAZIONALE 2022 – Intervista a Angelo Moretti – Il welfare di comunità

Welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è In vista del nostro incontro abbiamo chiesto qualche riflessione sul concetto di welfare di comunità, ad Angelo Moretti, promotore della rete nazionale “Per Un Nuovo Welfare” che sarà insieme a noi a Frascati per condividere esperienze e riflessioni su un tema centrale per il mondo del volontariato. Cosa significa fare welfare di comunità oggi? Il welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è: per tanti anni il welfare è stato concepito secondo una logica basata sulle categorie di fragilità, che venivano assistite all’interno di strutture apposite ed esclusive (RSA, carceri, centri per migranti etc.). Una visione di welfare che io definisco “separatista” perché tende, di fatto, ad escludere dal resto della società i più bisognosi. Il welfare di comunità, invece, si realizza quando i gruppi sociali più bisognosi sono perfettamente integrati all’interno delle realtà in cui abitano e lavorano, in un sistema che si mantiene in piedi grazie ad una forma di economia sostenuta dallo Stato e dai cittadini. L’esempio paradigmatico è che una persona con disabilità deve poter lavorare in un contesto in cui l’attività economica e il sistema di welfare siano compresenti. Un altro mondo in cui il welfare di comunità risulta vincente per la collettività in generale è la scuola: dobbiamo pensare un sistema educativo in cui tutti gli alunni abbiano le stesse possibilità anche dopo il suono della campanella e non soltanto durante le ore di lezione. In questa ottica il welfare non viene considerato come un costo ma come un investimento per lo sviluppo sociale e del territorio. Welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è In vista del nostro incontro abbiamo chiesto qualche riflessione sul concetto di welfare di comunità, ad Angelo Moretti, promotore della rete nazionale “Per Un Nuovo Welfare” che sarà insieme a noi a Frascati per condividere esperienze e riflessioni su un tema centrale per il mondo del volontariato. Cosa significa fare welfare di comunità oggi? Il welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è: per tanti anni il welfare è stato concepito secondo una logica basata sulle categorie di fragilità, che venivano assistite all’interno di strutture apposite ed esclusive (RSA, carceri, centri per migranti etc.). Una visione di welfare che io definisco “separatista” perché tende, di fatto, ad escludere dal resto della società i più bisognosi. Il welfare di comunità, invece, si realizza quando i gruppi sociali più bisognosi sono perfettamente integrati all’interno delle realtà in cui abitano e lavorano, in un sistema che si mantiene in piedi grazie ad una forma di economia sostenuta dallo Stato e dai cittadini. L’esempio paradigmatico è che una persona con disabilità deve poter lavorare in un contesto in cui l’attività economica e il sistema di welfare siano compresenti. Un altro mondo in cui il welfare di comunità risulta vincente per la collettività in generale è la scuola: dobbiamo pensare un sistema educativo in cui tutti gli alunni abbiano le stesse possibilità anche dopo il suono della campanella e non soltanto durante le ore di lezione. In questa ottica il welfare non viene considerato come un costo ma come un investimento per lo sviluppo sociale e del territorio.