Welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è In vista del nostro incontro abbiamo chiesto qualche riflessione sul concetto di welfare di comunità, ad Angelo Moretti, promotore della rete nazionale “Per Un Nuovo Welfare” che sarà insieme a noi a Frascati per condividere esperienze e riflessioni su un tema centrale per il mondo del volontariato. Cosa significa fare welfare di comunità oggi? Il welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è: per tanti anni il welfare è stato concepito secondo una logica basata sulle categorie di fragilità, che venivano assistite all’interno di strutture apposite ed esclusive (RSA, carceri, centri per migranti etc.). Una visione di welfare che io definisco “separatista” perché tende, di fatto, ad escludere dal resto della società i più bisognosi. Il welfare di comunità, invece, si realizza quando i gruppi sociali più bisognosi sono perfettamente integrati all’interno delle realtà in cui abitano e lavorano, in un sistema che si mantiene in piedi grazie ad una forma di economia sostenuta dallo Stato e dai cittadini.
L’esempio paradigmatico è che una persona con disabilità deve poter lavorare in un contesto in cui l’attività economica e il sistema di welfare siano compresenti. Un altro mondo in cui il welfare di comunità risulta vincente per la collettività in generale è la scuola: dobbiamo pensare un sistema educativo in cui tutti gli alunni abbiano le stesse possibilità anche dopo il suono della campanella e non soltanto durante le ore di lezione. In questa ottica il welfare non viene considerato come un costo ma come un investimento per lo sviluppo sociale e del territorio.
Welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è In vista del nostro incontro abbiamo chiesto qualche riflessione sul concetto di welfare di comunità, ad Angelo Moretti, promotore della rete nazionale “Per Un Nuovo Welfare” che sarà insieme a noi a Frascati per condividere esperienze e riflessioni su un tema centrale per il mondo del volontariato. Cosa significa fare welfare di comunità oggi? Il welfare di comunità è un welfare che non si vede ma c’è: per tanti anni il welfare è stato concepito secondo una logica basata sulle categorie di fragilità, che venivano assistite all’interno di strutture apposite ed esclusive (RSA, carceri, centri per migranti etc.). Una visione di welfare che io definisco “separatista” perché tende, di fatto, ad escludere dal resto della società i più bisognosi. Il welfare di comunità, invece, si realizza quando i gruppi sociali più bisognosi sono perfettamente integrati all’interno delle realtà in cui abitano e lavorano, in un sistema che si mantiene in piedi grazie ad una forma di economia sostenuta dallo Stato e dai cittadini.
L’esempio paradigmatico è che una persona con disabilità deve poter lavorare in un contesto in cui l’attività economica e il sistema di welfare siano compresenti. Un altro mondo in cui il welfare di comunità risulta vincente per la collettività in generale è la scuola: dobbiamo pensare un sistema educativo in cui tutti gli alunni abbiano le stesse possibilità anche dopo il suono della campanella e non soltanto durante le ore di lezione. In questa ottica il welfare non viene considerato come un costo ma come un investimento per lo sviluppo sociale e del territorio.