Commento critico di Giovanni Serra sulla legge 85/2023:

 

C’è chi costruisce nei fatti un quarto settore, ma non quello di cui per anni si è parlato e che contrapponeva il volontariato alle altre forme di solidarietà organizzata.

Si tratta, piuttosto, di chi lavora per approfondire il solco fra poche grandi e ricchissime organizzazioni e le moltissime che costituiscono l’anima di questo mondo.

Con la Legge 85/2023 il Parlamento ha aumentato la possibile retribuzione delle figure apicali nel Terzo settore. Innanzitutto, «per comprovate esigenze», non è più considerata distribuzione di utili pagare un dipendente o un collaboratore più del 40% di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali. Inoltre, per le medesime comprovate esigenze, si può aumentare la differenza fra chi è pagato di meno e chi è pagato di più fino a un rapporto da 1 a 12. Per essere chiari, in un ente di terzo settore (per esempio, una cooperativa sociale) si può pagare un operatore 1.100 euro al mese e un manager 13.200 euro.

Esultano alcune “grandi organizzazioni”, soprattutto del campo sanitario – ad esempio Airc, Emergency, Amref – sostenendo che questo consentirà loro di acquisire quelle alte professionalità che non sono disponibili a lavorare nel terzo settore con i suoi compensi poveri.

Che i compensi degli operatori siano effettivamente poveri è evidente a chiunque lavori in questo contesto. Spesso, se non ci fossero ragioni etiche, non si sceglierebbe questa strada. Ma la legge prevedeva già la possibilità di un divario – forse già eccessivo, da 1 a 8 – fra le retribuzioni. A cosa serviva aumentarlo?

L’impressione è che qui si mettano insieme – e si confondano – cose diverse: da una parte, le centinaia di migliaia di organizzazioni radicate nelle comunità, nelle quali molti operano – magari anche retribuiti – soprattutto per una scelta ideale; dall’altra, le grandi imprese multinazionali non profit nelle quali, come afferma Alessandro Bertani di Emergency, «chi ha responsabilità importanti è giusto che venga remunerato per quello che vale. Non ci si può aspettare che il lavoro nel Terzo settore coincida solo con una scelta etica».

Il punto è che se il Terzo settore si allinea alle logiche del mercato capitalista e al principio della competizione come chiave dello sviluppo, è inevitabilmente destinato alla irrilevanza.

Il mondo in cui viviamo è segnato da crescenti disuguaglianze, nelle quali i ricchi diventano sempre più ricchi e la gran parte degli altri incrementa sempre più il campo della povertà. Scopo del Terzo settore dovrebbe essere quello di contribuire ad un’inversione di rotta, alla costruzione di un mondo in cui l’uguaglianza di fatto è costruita sulla base di pratiche di cooperazione e sulla costruzione di legami di condivisione. Se non fosse così, sarebbe difficile negare la critica che papa Francesco ha mosso nel 2020 parlando delle realtà del Terzo settore: «Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare».

Allora forse sarebbe meglio che quel pezzo di Terzo settore straricco, quello che assorbe il 50% delle risorse del 5xmille pur rappresentando poco più dell’1% delle organizzazioni, prenda atto di essere qualcosa di diverso dal Terzo settore della condivisione e della relazione e smetta di beneficiare dell’alone di benemerenza che le centinaia di migliaia di piccole e medie organizzazioni conquistano con il loro impegno locale, faticoso e quotidiano.

Giovanni Serra

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